Iva sui token per l’attività di mining

L’Agenzia delle Entrate è tornata ad occuparsi di blockchain ma, soprattutto, di token.

È stata infatti pubblicata nei giorni scorsi la risposta all’interpello n. 110 del 20 aprile 2020, presentato su istanza di una startup per conoscere il corretto trattamento ai fini IVA di alcuni token da essa emessi.

In particolare, nel caso di specie, la startup innovativa ha lanciato la versione 1.0 di una ‘blockchain’, che, si legge nell’interpello, “permette alle imprese collegate di firmare, criptare e scambiare tra loro documenti commerciali digitali”.

Le transazioni sulla sopracitata blockchain avvengono mediante pagamento in token generati dall’istante nella quantità predeterminata e immodificabile di 60 milioni di unità.

Ogni transazione deve essere validata dai soggetti che gestiscono i nodi della rete, i c.d. ‘nodi validatori’, i quali devono necessariamente utilizzare il software elaborato dalla società, secondo il meccanismo di validazione POS (proof of stake), e detenere un certo numero di token.

È stato quindi costituito un consorzio formato dai nodi validatori con lo scopo primario di “acquistare in nome proprio per conto dei consorziati dei token che i consorziati a propria volta acquisteranno dal consorzio e utilizzeranno per svolgere l’attività di nodi validatori nella costituenda blockchain”.

Ed è proprio sul trattamento IVA della cessione di tali token al consorzio da parte della società istante che è stata chiamata a pronunciarsi l’Agenzia delle Entrate (più precisamente sulla “vendita verso il corrispettivo in euro degli ALFA token al Consorzio col vincolo della loro messa a garanzia da parte dei nodi validatori consorziati per svolgere l’attività di validazione, che verrà decurtata a titolo di sanzione in caso di violazione delle regole del Protocollo da parte del miner”).

Nell’interpello il contribuente, richiamando anche la precedente risposta dell’Agenzia dell’Entrate sul tema (si veda la n. 14 del 2018), ha sostenuto che i token abbiano natura ibrida: sia di utility token, in quanto necessari per usufruire della piattaforma, sia di currency token, ossia mezzo di pagamento per acquistare beni e servizi sul mercato. Mentre nel primo caso sarebbero esclusi ai fini Iva ai sensi ai senti dell’art. 6-quater, comma 2, del d.P.R. 26 ottobre 1792, n. 633, nel secondo invece rappresenterebbero cessioni di denaro ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lettera a), dello stesso decreto.

Di diverso avviso è stato invece il Fisco, che ha concentrato la sua attenzione sui diritti incorporati nel token.

L’Agenzia ha infatti osservato preliminarmente che il possesso dei token da parte degli acquirenti non comporta alcun diritto alla partecipazione in ALFA o nel Consorzio e/o nessun diritto patrimoniale o amministrativo relativo alla Società, non costituisce prestito o contributo al Consorzio, né prestito o conferimento all’Istante e non rappresenta una forma di investimento né di risparmio.

Pertanto, ha ritenuto che si tratti di un utility token, giacché “solo a seguito del loro acquisto è possibile accedere ai servizi della blockchain, utilizzarne il software e il logo e svolgere l’attività di nodo validatore”. 

In altri termini, secondo l’Agenzia, nella fattispecie in esame i nodi validatori corrispondono una commissione soltanto al fine di ottenere i token necessari per lo svolgimento dell’attività di miner.

Muovendo da tale assunto, l’Agenzia delle Entrate ha quindi ritenuto che la vendita al Consorzio di questi token sia qualificabile come prestazione di servizi ai sensi dell’art. 3, comma 1, D.P.R. n. 633 del 1972 ed in quanto tale da ritenersi operazione soggetta ad IVA.

Ha chiarito poi che il momento di effettuazione della predetta prestazione coinciderà con il pagamento della commissione ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. 633/1972.

Contributo dell’Avv. Marco Pignatone